Il futuro, alla luce della fede, ha due volti: quello dei numeri e quello della qualità. Padre Sergio La Pegna, nato a Vittoria, in Sicilia, 46 anni fa, è il Superiore generale dellaCongregazione dei Padri della Dottrina Cristiana, ai quali è affidata la comunità di Gesù Nazareno.
«Dal punto di vista numerico, la Congregazione è in crescita in Africa, stabile in India e Brasile, in difficoltà in Italia e Francia, come del resto accade per tutte le vocazioni, in tutta la Chiesa. Durante l’ultimo Capitolo Generale, la Pasqua scorsa, abbiamo deciso di puntare sulla formazione permanente, sia per la vita dei padri – ascolto della Parola di Dio e qualità della vita consacrata– sia per il nostro specifico carisma, la catechesi. I padri devono essere il motore delle vocazioni testimoniando gioiosamenteil proprio carisma. Padre Cesare de Bus, il nostro fondatore, cominciò così nel Cinquecento, fronteggiando l’ignoranza religiosa con la catechesi; oggi la situazione è analoga, dobbiamo iniettare in coloro che incontriamola gioia di conoscere il volto di Gesù, persona viva in mezzo a noi».
Educare alle scelte vocazionali, per padre La Pegna, significa «prendere atto che la formazione cristiana spesso oggi non parte più dalla famiglia. Come aveva già intuito il teologo Joseph Ratzinger alla fine degli anni ’50, nel mondo occidentale il cristianesimo è minoranza. Ecco allora – ragiona padre La Pegna – che i cristiani devono “uscire, andare per il mondo”, testimoniare che il cristianesimo non è seguire dottrine e regole, ma scoprire Gesù, il volto misericordioso del padre. Evangelizzazione e primo annuncio saranno la nuova catechesi».
Le difficoltà della pastorale, le chiese vuote: a cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II le avvisaglie si sono tramutate in realtà. Come riprendere il cammino? «Nell’ultima udienza al clero romano prima della rinuncia, Benedetto XVI ricordò come il processo avviato dal Concilio sia un cammino non ancora terminato. La Chiesa stessaè sempre in cammino. Ciò che è importante è essere convinti che tale cammino va fatto insieme, riscoprendo e valorizzando i vari carismi e le diverse sensibilità di persone e gruppi. Dobbiamo rispettare il cammino di tutti, includere e non escludere. Un aspetto sul quale papa Francesco insiste molto ».
L’istituzione parrocchia nasce nell’XI secolo e, sostanzialmente, non è molto cambiata da allora. Quale sarà la parrocchia della società liquida e post-moderna?
«Il grande cambiamento fu introdottonel Codice di Diritto Canonico del 1983, il quale, recependo gli orientamenti conciliari, definì la parrocchia nonsolo in base al riferimento territoriale, ma soprattutto come“popolo di Dio”. La parrocchiacontinua ad essere ancora oggi un’occasione di “fare esperienza concreta diChiesa” – conclude padre La Pegna – ma deve essere aperta a tutti, in un certo senso possiamo parlare di “parrocchie liquide”, nelle quali ciò che conta non è la residenza, ma l’appartenenza. Oggi la gente studia o lavora in un luogo e risiede in un altro, anche a centinaia di chilometri di distanza. Il cardinal Martini paragonava la parrocchia al fuoco di bivacco che i ragazzi dei gruppi e delle associazioni fanno la sera, durante i campi estivi: chi raccoglie legna e chi accende e alimenta il fuoco; chi intona i canti e cura l’animazione, ma anche chi semplicemente si gode la serata. Bisogna fare in modo che tutti siedano intorno al falò e che tutti si sentano a proprio agio. Senza cancellare la religiosità popolare, un sentimento religioso che può trasformarsi peressere occasione di evangelizzazione e catechesi».